Storia romanzata (ma non troppo) della nascita di Ellin Selae,

dell’origine e del significato del suo strano nome

di Franco Del Moro

 

 

Etimologicamente Ellin Selae è l’acronimo del verso: “Esiste La Luce In Noi, Siamo Esseri Legati All’Eterno”.

Questo verso contorna il logo della casa editrice, che è questo qui:

 

 

L’ho disegnato io, prendendo un dettaglio a una antica incisione ed aggiungendoci con dei timbrini le parole intorno.

Come Zio Paperone tiene la “Numero 1” nel suo deposito, io tengo il logo originale da me disegnato in un quadretto appeso sopra la scrivania dove lavoro. Misura cm. 10x10. È la mia “Numero 1”, la madre di tutti i loghi Ellin Selae che sono stati riprodotti negli anni su tutte le riviste, i libri, i cataloghi, le locandine e in migliaia di altri posti. Ecco la sua fotografia:

 

Ma veniamo al nome.

Ellin Selae nacque nella stessa caserma dove Pier Vittorio Tondelli fece il militare e ambientò il suo romanzo “Pao Pao”: la caserma del III Granatieri “Guardie” di Orvieto.

Colà nel 1987 mi trovavo per trascorrere il mio anno di servizio (a quei tempi era ancora obbligatorio) e ogni tanto venivo relegato, per un intero giorno e una intera notte, in uno stanzino di metri due per uno vicino alla porta carraia per prendere nota delle targhe degli automezzi che entravano ed uscivano dalla caserma.

 

 

Ecco lo stanzino dove nel 1987 nacque il primo numero di Ellin Selae. Questa foto tuttavia è stata scattata nel 2008, quando la caserma è stata smilitarizzata. Ora il piazzale delle adunate è diventato un parcheggio e le camerate sono diventati uffici pubblici  (foto gentilmente inviata da Elena Liotta).

 

Dato che si trattava di star seduto per ventiquattrore su una sedia, oltre ad annotare targhe, e terminato di sfogliare l’immancabile pila di giornalini porno che nelle caserme sono più numerosi delle munizioni per i fucili, per non addormentarmi o cominciare a parlare con i ragni, scribacchiavo anche qualcosa: racconti, riflessioni, pensieri…

Il fatto di scrivere qualcosa era faccenda molto comune in quel contesto e mi era già capitato che commilitoni e compagni mi facessero leggere i loro diari e le loro storie, così mi venne l’idea di ammazzare il tempo in forma più estesa e creativa confezionando un giornalino che raccogliesse questi scritti nati in caserma.

Sarebbe stato un ricordo in più da portare a casa dopo il congedo. Poesia, racconti, pensieri, disegni... non solo giornalini porno.

A Natale di quell’anno la mia dolce metà mi fece un regalo molto lungimirante: una macchina da scrivere elettronica portatile (allora i pc portatili erano ancora cosa dell’altro mondo) che, fra l’altro, mi aiutò non poco a migliorare la qualità della mia vita grigioverde. Ad esempio un sergente maggiore mi faceva realizzare con tale macchina la carta intestata per il negozio della moglie e in cambio mi favoriva nell’assegnazione dei servizi; insieme ad altri compagni e con l’ausilio della prodigiosa macchina elettronica realizzai una “stecca” che poi vendevamo, dopo averla fotocopiata, per mille lire alle nuove reclute realizzando così anche qualche soldo extra da affiancare alla misera diaria statale…

Ma, soprattutto, con quella macchina mi impegnai a realizzare il famoso giornalino.

Di giorno ma anche di notte (durante le guardie, i servizi e fra un turno e l’altro) impaginai alla meno peggio l’antenato dell’attuale Ellin Selae.

Con i soldi realizzati dalla vendita delle stecche acquistai una spillatrice a braccio lungo (per pinzare i fogli al centro come i quaderni) e decisi di far stampare una dignitosa copertina in una piccola tipografia orvietana.

Escludendo cose trite quali “La mia naja”, o “A me le guardie!” (che è il grido di battaglia nonché motto del mio corpo, i Granatieri), occorreva trovare un’idea per il nome in fretta.

Cominciai allora ad annotare tutte le parole interessanti che mi capitava di vedere o di sentire.

Alla fine i nomi papabili erano solo due: ISIDE e SHENANDOHA.

Non mi ricordo dove trovai il primo, mentre il secondo lo lessi su uno degli innumerevoli e già citati giornalini; era, se non ricordo male, il nome di un incallito e superdotato erotomane.

Sebbene fosse tratto da un contesto piuttosto discutibile ritenevo che, dato che di “ricordo del militare” si trattava, dopotutto per il giornalino andava anche bene il nome di un personaggio porno. Naturalmente allora non avevo affatto idea di cosa il giornalino sarebbe diventato negli anni a venire e, dato il luogo dove mi trovavo, non era mia intenzione andare troppo sul sofisticato.

Tuttavia le cose non dovevano andare così (e per fortuna, se no oggi come troverei il coraggio di spiegare il significato del nome ai giornalisti che, sempre, come prima cosa mi chiedono: “Cosa vuol dire Ellin Selae?”…). Oltre a leggere (come tutti i militari del mondo) i giornalini porno, su un quaderno ricopiavo anche le frasi e le riflessioni che trovavo graffite sulle garritte e sui muri della caserma (che sono delle autentiche antologie di pietra) e una volta, schiacciata fra un epitteto scurrile e un “non mi passa più”, trovai anche la fatidica frase: «esiste la luce in noi, siamo esseri legati all’eterno».

Bella! Brillava come un diamante incastrato sotto una montagna di carbone. Dovevo assolutamente includerla nel mio giornalino, e ne aveva diritto, dato che di “testimonianza sul campo” si trattava.

In un primo momento pensai di utilizzarla come sottotitolo, ma non era troppo pertinente con i contenuti, e così girando e rigirando queste parole mi accorsi che l’acronimo del verso aveva pure un bel suono: ELLIN SELAE.

Tac! Si accese la lampadina, quella che si accende poche volte nella vita, e soltanto quando ci capita per le mani una occasione irripetibile…

Mi convinse subito,  era strano e aveva un bel suono, comunque era meglio di Shenandoah (e fu un sollievo liberarsi dell’erotomane).

Prima di venire influenzato da qualche compagno dubbioso, corsi dal tipografo orvietano, il quale dapprima stampò Ellin Salae, poi Ellin SeAle… e solo al terzo tentativo ci azzeccò. Onestamente devo dire che ancora oggi quando qualcuno parla o scrive di noi, due volte su tre sbaglia il nome.

 

Tanto per fare un esempio: eccoci (con refuso tipico ) nell’elenco degli espositori a PordenoneLegge 2020…

 

En passant voglio anche far notare che dato che di acronimo si tratta, e non di dittongo, è errato pronunciare l’ “ae” finale come “e” (ellin sele), ma va proprio pronunciato letteralmente, maktu’b, direbbero gli arabi (credo): ciò che è scritto.

Allora i computer non erano ancora onnipresenti e così il tipografo compose la matrice a piombo del nome utilizzando dei caratteri mobili che aveva in laboratorio e da allora la forma della testata è ancora quella; mi propose anche una cornicetta che inquadrasse la copertina e anche quella è rimasta la stessa da allora, mentre per il disegno ci pensai io e lo trassi da uno dei libri del mio armadietto: Il libro del sapiente, di Charles de Bovelles (Einaudi).

Quando la copertina fu stampata feci le fotocopie delle pagine e con la spillatrice a braccio lungo confezionai il tutto. Per essere fatto con mezzi assai limitati il giornalino si presentava decorosamente e mi impadronii così bene della tecnica che in pratica rimase la stessa per anni e anni: sino al numero 17 incluso.

Vogliamo proprio dare a questa storia una spruzzata di leggenda?

Come ho detto, io feci il militare nella stessa caserma dove 5 anni prima di me lo fece Tondelli.

Bene, c’è chi ha riconosciuto in quel verso graffito da cui tutto ebbe inizio proprio la mano di Tondelli e dato che è consuetudine diffusa fra tutti i militari lasciare scritto qualcosa da qualche parte sui muri della caserma prima di andarsene, è legittimo pensare che quel verso potrebbe essere realmente il segno lasciato dallo scrittore emiliano al suo passaggio in quel di Orvieto.

Se fosse vero Tondelli andrebbe a tutti gli effetti considerato il collaboratore numero 1, nonché l’angelo custode e il nume tutelare di Ellin Selae…

Comunque nel 1988 prima di tornare a casa regalai a tutti i commilitoni una copia di “Ellin Selae” (e subito cominciarono a chiedermi: “ma cosa cavolo significa?”) e pensai che la cosa fosse finita lì. Invece a casa riportai anche una certa quantità di copertine rimaste inutilizzate e così nei mesi successivi, ripensando all’esperienza di Orvieto, decisi di dare un seguito al giornalino e realizzai con la stessa tecnica un secondo Ellin Selae.

Erano gli anni in cui le fanzine andavano molto di moda e il mondo letterario ufficiale era affiancato da un nutrito e creativo sottobosco di gente come me con tanta buona volontà e senza troppe pretese, che realizzava artigianalmente giornali e giornalini, fotocopiati e regalati agli amici. Quando andava bene si arrivava a 50 copie.

Ma le fotocopie, allora come oggi, avevano un costo e il passatempo cominciava a pesare sul mio portafoglio, così sul finire del 1990, dopo aver fatto ben sei “Ellin Selae numero 0”, giunsi a un bivio: o smettere o farlo meglio.

Se invece di una fanzina fotocopiata agli amici avessi proposto un vero e proprio periodico, forse lo avrebbero anche pagato. Forse.

Nel 1991 decisi di rischiare e scelsi la seconda opzione, e così uscì il primo numero “ufficiale” di Ellin Selae: il numero 1!… Ma per molto tempo ancora la situazione rimase sempre la stessa: fotocopie tante, lettori pochi, entrate zero.

Oggi, dopo più di 30 anni da quel primo numero “militare” e militante spillato nel 1987, i computer hanno preso il posto della gloriosa macchina da scrivere e della fotocopiatrice; la rivista è rilegata e non più pinzata (anche perché non ne potevo più di passare le serate a pinzare giornalini), i lettori sono aumentati ma in proporzione sempre minore rispetto alle spese… eppure… mi hanno chiesto recentemente: “Se tornassi indietro, lo rifaresti?”

Ho risposto: “Il militare no, ma se non fare il militare significa non fare Ellin Selae, allora rifarei il militare anche subito…”

 

 

 

L’acronimo di Ellin Selae svelato su una maglietta

dipinta da Lorena Liberatore

 

Alle fiere ci chiedono talmente tante volte “Cosa vuol dire Ellin Selae?” che abbiamo realizzato queste magliette per evitare di ripetere ogni volta la stessa storia.

Ora quando ce lo chiedono semplicemente ci giriamo di spalle…

 

 

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