Perché tutti vanno dove vanno tutti?

Ovvero: del perché l’arte e la cultura in Italia sono così sterili...

 

 

di Franco Del  Moro

 

 

Questo popolo di santi, di poeti,

di navigatori, di nipoti, di cognati…

Ennio Flaiano

 

 

Da qualche anno il nostro Paese è come una nave che ha perso la rotta e senza accorgersene è entrata nel Triangolo delle Bermuda, una di quelle navi il cui equipaggio scompare nel nulla.

L’equipaggio di questa nave a rischio di naufragio siamo noi (o meglio: i nostri cervelli), e il Triangolo delle Bermuda dentro cui siamo sfortunatamente entrati è composto da tre correnti tanto potenti quanto rovinose, che sono: i personaggi televisivi, i personaggi politici, i giornalisti.

Queste tre categorie plenipotenziarie hanno lottizzato l’Italia e la stanno immobilizzando come una camicia di forza, infestandola a tutti i livelli, ben oltre quelli consentiti, come un virus infesta un computer fino all’ultimo byte disponibile.

Naturalmente il problema non è la politica in sé, o il giornalismo e i media (basta affacciarsi all’estero per vedere che altrove le cose sono diverse), ma sono la nostra politica, il nostro giornalismo, i nostri media. Mai stati a un livello così infimo. E, purtroppo, mai stati così influenti. Hanno in mano tutto: ogni attività sociale, culturale e intellettuale. È tutto monopolizzato da loro: tutti i libri che si trovano in libreria sono scritti da loro, dietro a ogni evento culturale ci sono sempre loro, rimbalzano da un festival all’altro qualunque sia l’argomento, i teatri si riempiono solo quando sul palco ci sono loro… loro, sempre loro: i personaggi televisivi, i politici, i giornalisti. Sono talmente avvinghiati su sé stessi che spesso si intrecciano e confondono: i politici che fanno televisione, i giornalisti che si mettono in politica, i personaggi televisivi che scrivono libri e si mettono in politica… se la suonano e se la cantano. Per forza il “Times” qualche settimana fa ci ha definito un paese depresso, senza più sogni. Il popolo più triste d’Europa.

 

E noi?

Noi che non siamo né personaggi televisivi, né politici né giornalisti, ma “solo” scrittori, musicisti, attori, danzatori, pittori, ricercatori, storici, filosofi, artisti… chi ci incoraggia ad andare avanti nel nostro lavoro e a dare il meglio? Che speranze abbiamo di veder riconosciuta la nostra opera? Di trovare il nostro posto dentro a questa società o anche soltanto di poter condividere il nostro talento e il nostro lavoro con il nostro prossimo?

Ahimé, poche, pochissime. Il nostro destino è l’invisibilità, a meno che non scendiamo a patti con il demone a tre teste e vendiamo l’anima al diavolo esercitando l’antica arte dell’arruffianarsi in un modo qualunque la “gente che conta”. A meno che non diventiamo leccaculi del potere.

Personalmente il compromesso mi ripugna e l’invisibilità dopotutto non mi dispiace, ma questo vale solo per me naturalmente. Per questo non mi pesa boicottare il Cerbero: già da un paio d’anni in qua evito accuratamente di dare i miei soldi o prestare il mio tempo a chiunque sia attivo in quello che io chiamo “il regime strisciante del nuovo millennio” e, per quanto riguarda nello specifico la cultura e la vita artistica in genere (che sono i settori che più mi appartengono), boicotto senza se e senza ma l’opera di chiunque sia compromesso con la televisione e il potere.

Non è una questione personale, non è un rifiuto verso questa o quella persona, è una questione di coerenza ideologica e di resistenza attiva, come ai tempi del fascismo: è un rifiuto verso TUTTI coloro che sono compromessi con il regime, anche quando si tratta di personaggi validi. Negli anni ‘30 bisognava avere il coraggio di dire no al fascismo e a tutto ciò che lo rappresentava a prescindere da chi o cosa fosse. La stessa cosa vale oggi. Bisogna avere il coraggio di sottrarsi a ciò che rovina il Paese, di fare una scelta, di decidere da che parte stare: o si è con il regime o si è contro il regime. Non esistono vie di mezzo.

Mi dispiace per quell’attore di teatro, che pure è bravo, ma da quando fa televisione ho smesso di andare ai suoi spettacoli e di comprare i suoi libri. Mi dispiace per quel musicista, che pure mi è sempre piaciuto, ma da quando va in televisione ho smesso di andare ai suoi concerti e di comprare i suoi dischi. Mi dispiace per quell’intellettuale, che pure è molto acuto, ma da quando… insomma avete capito.

Questo è quello che faccio io. Conta poco, forse niente, ma è importante per me farlo, anche se so benissimo che non cambierà niente. È importante per me fare resistenza attiva, avere dei valori e difenderli, dimostrare a me stesso cos’è la coerenza, come diceva Dostoevskij: il segreto dell’esistenza umana non sta soltanto nel vivere, ma anche nel sapere per che cosa si vive.

Un vero cambiamento sarebbe possibile soltanto se il boicottaggio si estendesse a tutti i livelli.

Se gli attori di teatro si rifiutassero di fare televisione, salverebbero il teatro. Se gli editori si rifiutassero di pubblicare solo i libri dei personaggi televisivi o dei giornalisti, l’editoria si salverebbe. Se gli scrittori si rifiutassero di inseguire le mode per avere più successo mediatico, molte più persone tornerebbero a leggere libri. Se ai politici venisse chiesta una coerenza morale e un livello più alto di  competenza, il paese non sarebbe allo sbando.

Se un numero sempre maggiore di persone decidesse di fare terra bruciata intorno al Cerbero e intorno a chi con esso si allea, avremmo una speranza di veder nascere un nuovo Umanesimo, di cominciare una stagione  più vicina al Rinascimento che al “Piano Solo” di Licio Gelli, una stagione in cui ad avere un ruolo attivo nella società tornerebbero ad essere gli intellettuali e gli artisti, invece che i massoni, gli scalatori sociali, gli amici degli amici e i personaggi televisivi.

Solo così la nave uscirebbe dal Triangolo delle Bermuda con ancora tutto il suo equipaggio a bordo, sano e salvo.

Ma la storia insegna che questa è una utopia.

Quando la sirena della fama mediatica chiama, quasi nessuno riesce a resistervi. (1) Senza contare che far parte di una èlite è il sogno segreto di ogni individuo, in particolare degli artisti. Chi ci riesce diventa egoista e avido, arraffa tutto quello che può per tutto il tempo che gli è concesso, senza alcuna solidarietà di classe. Una volta entrati a far parte dell’èlite tutte le porte sono aperte e si può far tutto ciò che si vuole: cinema, teatro, editoria, musica… e tutto ai massimi livelli.

Chi l’ha provata sa che è una droga troppo potente per rinunciarvi spontaneamente.

...

 

 

*  Il seguito di questo articolo sarà pubblicato sul numero 86 di Ellin Selae.

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