Nota della redazione

 

Il direttore di Ellin Selae, Franco Del Moro, ha pubblicato tre libri con tre editori diversi, nei quali tratta questioni legate all’editoria, alla letteratura, ai libri, alla vita degli scrittori e dei (piccoli) editori.

 

In questi libri racconta il mondo del libro “dal di sotto” (più che dal di dentro) e svela alcuni retroscena gustosi sui perché e percome di quello strano club che sono gli editori e gli scrittori riconosciuti tali, in Italia dagli italiani…

Sono pagine che spesso fanno ridere e altrettanto spesso fanno riflettere… pagine che non hanno alcuna pretesa di fornire ricette e soluzioni, tuttavia15 anni di militanza sulla strada con i libri in mano (spesso nel senso letterale del termine) o nelle tempeste su quel guscio di noce che è Ellin Selae, hanno fatto capire a Del Moro alcune verità sull’editoria che in questi libri ha voluto mettere a disposizione di tutti coloro che amano i libri, e in particolar modo di scrittori & affini.

 

Il capitolo che riportiamo qui sotto è quello conclusivo del libro pubblicato da Stampa Alternativa: “IL LIBRO È NUDO”, particolarmente utile per svelare, fra l’altro, i motivi del perché i piccoli editori sono costretti quasi sempre a ignorare la narrativa, anche di qualità.

 

Gli altri due “libri sui libri”, sono:

- FACCIO LIBRI, VENDO LIBRI. Storie divertenti dal mondo editoriale (ed. Biblioteca dell’Immagine);

- LE VIE DEI LIBRI. Scrittori, editori, poeti, cani, gatti e altri animali da compagnia (ed. La Vita Felice).

 

 

 

Vademecum per un lettore consapevole

di Franco Del Moro

 

(tratto da “Il libro è nudo. Rivelazioni sul mondo editoriale ai lettori che non sanno” – Stampa Alternativa ed.; collana “Eretica”)

 

Nei 6 punti che seguono sono sintetizzati tutti gli argomenti che sono emersi dalle questioni finora affrontate ne “Il libro è nudo”.

Ho sentito l’esigenza di ribadirli nuovamente per lasciare nel lettore, al termine della lettura, la traccia di una denuncia certa e inequivocabile, al di là degli aneddotti curiosi (che saranno certamente la parte che si ricorderà più di tutte).

Così che dopo non potrà più dire: …non sapevo… non credevo… non avevo capito…

Si tratta in fin dei conti di una estrema sintesi dello stato in cui attualmente versa quel microcosmo che è l’editoria italiana in cui poteri, privilegi, ipocrisie e vanità si mescolano a talento e creatività.

 

 

 

1) Perché occorre distinguere fra grande editore e piccolo editore

 

Mettere sullo stesso piano una grande casa editrice di quelle che pubblicano due o trecento novità all’anno, come la Mondadori o la Garzanti e così via, e un piccolo editore che pubblica solo quindici o venti libri all'anno è la stessa cosa che equiparare un vestito prodotto in serie da una grande industria e il vestito prodotto da una sartoria artigianale.

Le grandi case editrici sono, prima di ogni altra cosa, grandi "aziende": producono e commercializzano un particolare tipo di merce che si chiama libro. Il loro problema principale è vendere il più possibile e i loro libri escono da una catena di montaggio lunga e complicata che passa attraverso responsabili commerciali, di marketing, di distribuzione, ecc.

I dipendenti di una granda casa editrice hanno nei confronti dei libri che l'azienda per cui lavorano produce un rapporto indiretto, impersonale, lo stesso che un commesso di un grande supermercato può avere nei confronti della merce esposta sugli scaffali dove lavora.

Un piccolo editore non si muove certo nello stesso modo: innanzitutto sceglie i libri con cura e attenzione personale e, in genere, il primo investimento che fa sul libro non è di carattere economico bensì emozionale: sceglie i libri da pubblicare fra quelli che trova più belli, più importanti, che gli fa piacere aver letto. Poi si ricorda di essere anche imprenditore, ma il suo approccio al mercato resta sempre molto personale e comunque non perde mai di vista l'oggetto centrale del suo lavoro: il libro.

In genere il piccolo editore allaccia anche rapporti personali con i suoi autori, mentre gli scrittori che pubblicano con le grandi case editrici hanno rapporti del tutto freddi e distaccati con l'azienda: sanno di essere dei numeri legati ad altri numeri, di essere dei cavalli da corsa, e sanno che saranno abbattuti o messi impietosamente da parte nel momento in cui non riusciranno più a piazzarsi nei primi posti.

Quando una grande casa editrice organizza una cena con uno scrittore per festeggiare l'uscita del suo nuovo libro, lo fa in un'ottica imprenditoriale, come investimento promozionale, con invitati scelti accuratemente fra coloro che possono agevolare il successo di vendita del libro... mica lo fa perché gli fa piacere andare a cena con il bravo e fortunato scrittore...

 

 

 

2) L'ipocrisia di buona parte del dibattito culturale contemporaneo

 

Anche a voi sarà capitato di leggere l'ennesima denuncia del fatto che il romanzo sta morendo e che in Italia non nascono più grandi scrittori.

Per un piccolo editore come me niente suona più falso e ipocrita di questa affermazione e di questo genere di argomenti.

Quando un giornalista scrive: "attualmente non c'è in circolazione nessun romanzo veramente bello", non si riferisce certo a tutti i romanzi che sono attualmente in circolazione.

Niente affatto. Si riferisce solamente ai cataloghi dei grandi editori, gli unici che in genere i giornalisti tendono a prendere in considerazione. Oppure si riferisce ai libri che sono "in classifica", ma se si guardano le classifiche dei libri più venduti e si va a vedere quali sono gli editori dei libri lì elencati si capisce che la situazione è la stessa, siamo sempre lì: gli unici libri di cui troverete notizie nelle classifiche sono i libri dei grandi editori.

E perché solo i libri dei grandi editori entrano in classifica, e mai o quasi mai quelli dei piccoli editori?

Solo chi non vuole vedere la realtà o desidera continuare a non vederla, non si accorge del semplice fatto che i grandi editori hanno capacità di investimento ed entrature tali in ogni ambiente da riuscire a coprire (e monopolizzare) il mercato del libro in maniera quasi del tutto impermeabile a chi non ha i loro stessi attributi di grandezza.

Si può dunque esser certi che qualunque libro, come ogni altro prodotto (una saponetta, un tipo di biscotto, un'automobile...), se "lanciato" sul mercato con un massiccio investimento promozionale, entra in classifica. Può darsi poi che ne esca subito perché il libro in sé non è molto bello, ma sul fatto che ci entri è cosa più che sicura.

Non bisogna cadere nell'errore di pensare che la differenza fra un un libro che si trova in classifica e un libro che non ci è mai entrato stia sempre nella qualità del libro...

Non va poi trascurato il fatto che i grandi editori di libri sono, spesso, anche proprietari ed editori di molti giornali a diffusione nazionale. È naturale quindi che i giornali che fanno capo a un certo gruppo editoriale che pubblica anche libri, privilegino sulle loro pagine i libri prodotti dal gruppo a cui appartengono... non c'è da stupirsi quindi di trovare tutti i giorni sulle pagine del Corriere della Sera pubblicità di libri pubblicati da Rizzoli, così come non bisogna stupirsi di trovare sui mille settimanali che fanno capo a Mondadori notizie dei libri pubblicati da Mondadori...

 

 

 

3) Differenza fra "Mercato del Libro" e letteratura

 

E questo è il grande errore all'origine di tutti i guai dell'editoria italiana: considerare alla stessa stregua due cose che sono in realtà diversissime e che sono il "mercato del libro" e la letteratura.

Se parliamo di "mercato del libro" allora va bene considerare solo quei dieci o quindici grandi editori che occupano il 95% del settore (il mercato del libro, appunto), ma se parliamo di letteratura e di romanzo, allora non è affatto onesto escludere anche tutti gli altri editori, quelli che stanno compressi per ragioni puramente economiche in quel restante 5%, perchè sarebbe come dire che la dignità e il valore di un libro non sono dati dal reale valore del suo contenuto, ma dall'importanza e dal peso sul mercato (per usare una parola orrenda: dalla "fetta")  che quell'editore occupa.

Eppure questa esclusione è quotidianamente praticata, da giornalisti, distributori e librai.

E poi dai lettori, i quali non sempre sono consapevoli di questi fattori oppure lo sono ma non se ne curano più di tanto, e quando acquistano un libro prodotto da una grande casa editrice si sentono più rassicurati, hanno la sensazione di aver fatto un buon acquisto, perché di quel libro ne hanno sentito parlare, ne hanno letto qualcosa sul loro giornale di fiducia, lo potranno citare ai loro amici o colleghi senza correre il rischio di non venir capiti, e per mille altri motivi "tecnici" che, insomma, li inducono a credere che quel libro valga più di molti altri di cui non hanno mai sentito né letto, né visto niente.

 

 

 

4) I Magnifici 10 Editori e tutti gli altri...

 

Ormai tutti sanno che in Italia esistono più di duemila case editrici, e almeno un quarto di queste sono case editrici di progetto, ovvero case editrici serie che scelgono accuratemente i libri da pubblicare e costruiscono, libro dopo libro, un catalogo di buona cultura con buoni autori (non a pagamento). Eppure quando si parla di nuovi scrittori e di nuovi libri, si parla sempre e solo delle novità di Mondadori, Garzanti, Rizzoli, Einaudi, Feltrinelli, Sellerio, Adelphi, Bompiani, Baldini & Castoldi, e pochi altri (e tralasciamo il fatto che alcuni di questi, sebbene abbiano nomi diversi, fanno capo a un’unica proprietà…)

Sembra che l'editoria italiana sia tutta qui, compresa in questa ristretta rosa di nomi.

Certo, come dicevo prima, il mercato è quasi del tutto in mano a questi Magnifici Dieci, ma per quanto riguarda la letteratura non è affatto così.

Abbiamo detto che esistono moltissimi editori di qualità che non vengono mai presi in considerazione, neppure in quelle schede brevissime che segnalano le novità e che stanno ai margini delle pagine dei supplementi culturali. E perché? Perché ad esempio si tende a premiare il successo con il successo, ovvero dare attenzione a chi attenzione ha già. Oppure perché è meno rischioso parlare di qualcosa che ha già il consenso della massa piuttosto che di qualcosa di cui i più non hanno mai sentito parlare…

Alcuni esempi in questo senso, che abbiamo già citato ma che giova ricordare in quanto decisamente sintomatici: Leonardo Pieraccioni nel momento in cui è diventato un regista e attore di successo ha pubblicato un libro di racconti con Mondadori, e non c’è stato giornale e giornalista che non ne abbia parlato (sebbene fosse un libro mediocre, come i suoi film). Un altro esempio: Jovanotti dopo essere diventato un musicista di successo ha pubblicato un libro con Feltrinelli e di nuovo sono uscite decine e decine di articoli e recensioni ovunque sul libro di Jovanotti. Ed ecco allora che nasce il circolo vizioso.

Se una persona che ha un grande talento per la scrittura scrive un capolavoro ma, disgraziatamente, questo scrittore è una persona qualunque (impiegato, disoccupato, pensionato, studente...) e quindi trova spazio per pubblicare il suo libro solo da un piccolo editore, ecco che lui e il suo libro sono condannati fin dalla nascita all'indifferenza prima e all'oblìo dopo. Perché i giornali, i giornalisti, i librai, le trasmissioni radiotelevisive e via e via, continueranno sempre e soltanto a parlare dei libri dei vari Pieraccioni o Jovanotti o Giobbe Covatta o di chi comunque avrà pubblicato il suo libro con il grande editore e quindi per questo motivo, e solo per questo, è per loro degno di considerazione.

 

 

 

5) In Italia di buoni libri ne esistono eccome...

 

Allora, quando un giornalista dice "non ci sono più buoni scrittori", a chi si riferisce? A tutto il panorama culturale italiano, o soltanto a quella fetta a cui lui fa riferimento, ovvero a quelle dieci grandi aziende (che accidentalmente operano nel settore editoriale anziché, ad esempio, nell'industria dolciaria) di cui abbiamo detto e che monopolizzano il mercato?

Io, che pure sono un editore piccolissimo, nel corso della mia attività ho pubblicato una dozzina di romanzi e fra questi almeno 4 erano di altissimo valore letterario. Eppure non se n'è accorto nessuno, nessun giornale né giornalista ne ha parlato mai. Esattamente come se quei libri non fossero mai esistiti, non fossero mai stati pubblicati. Questa naturalmente non è solo la mia esperienza: so per certo che è la stessa cosa per alcuni miei colleghi piccoli editori, i quali anche loro hanno pubblicato libri bellissimi e sono poi andati incontro alla frustrante esperienza dell'indifferenza e dell'oblìo. Ma sui giornali leggo ancora: "non ci sono più buoni scrittori”…

Alcuni anni fa l'Adelphi, che come tutti sanno è una grande e prestigiosa casa editrice, pubblicò l'opera prima di un autore esordiente: il libro era "La variante di Luneburg" e lo scrittore è Paolo Maurensig. Un libro bellissimo, un vero capolavoro. Ed ecco che su tutti i giornali furono elogi e complimenti sia per l'autore che per l'editore: tutti a dire evviva! Finalmente è stato scovato un vero scrittore pieno di talento! Forse il romanzo italiano non è del tutto morto!…

Evviva, evviva, ma vi posso assicurare che se lo stesso libro dello stesso autore fosse stato pubblicato da me o da un piccolo editore come me, nessuno avrebbe sprecato una riga né una parola di alleluja e Paolo Maurensig sarebbe rimasto uno scrittore di talento del tutto sconosciuto che, probabilmente, dopo quel libro non ne avrebbe pubblicati più.

E il fatto è che questa cosa non è ipotetica, ma succede realmente in continuazione, tutti i giorni: grandi libri pubblicati da piccoli editori di cui nessuno parla. Questa è la taciuta e nascosta verità dell’editoria italiana…

Per questo mi arrabbio moltissimo quando sento dire che "in Italia non si pubblicano più buoni libri". È veramente una affermazione, come dicevo, falsa e ipocrita.

 

 

 

6) L'apparente eresia che governa la piccola editoria

 

La frase giusta, che per onestà intellettuale andrebbe invece scritta, è: "Se consideriamo l'attività delle venti case editrici più grandi d'Italia, allora possiamo dire che queste da qualche tempo non pubblicano più buoni libri", perché questà è la realtà, la realtà vera. Solo questa.

Sulla mia scrivania, nella mia redazione, ho una decina di dattiloscritti di altrettanti scrittori esordienti. Questi dieci dattiloscritti sono frutto di una attenta selezione operata da me e dai miei lettori e sono altrettanti splendidi romanzi. L'ho anche detto agli autori, gli ho fatto i miei complimenti, e loro mi hanno chiesto "e allora perché non li pubblichi?".

E anche a loro spiego in continuazione che non li pubblico perché sarebbe una perdita di tempo. E loro, gli scrittori, quando mi sentono dire questa cosa, si arrabbiano moltissimo, perché in effetti è una cosa difficile da capire, di primo acchito sembra un controsenso.

Infatti poi non è del tutto vero che non li pubblico, ogni tanto quando ho un po' di soldi da parte, diciamo una volta all'anno, pubblico almeno uno di questi romanzi (purché non sia troppo voluminoso…), anche se so in partenza che sarà un libro che passerà sotto silenzio. Lo faccio perché nessuna "legge di mercato" mi scipperà mai del mio amore di fondo per il buon libro di buona letteratura.

Però quando un piccolo editore dice: "ho qui in mano un capolavoro e non lo posso pubblicare perché tanto sarebbe tempo perso", sembra che dica un'eresia.

E invece è una verità sacrosanta. Solo non è facile leggerla nella giusta ottica.

Librai, distributori, operatori culturali e giornalisti hanno costruito pezzo dopo pezzo, giorno dopo giorno questo stato di cose.

E il peggio è che non si sono resi conto che lo sfacelo della cultura di cui sono responsabili è una delle concause responsabile del degrado della politica e dei costumi sociali di tutto il Paese...

Quindi cari lettori di libri, bibliofili e bibliomani in genere, cercate di non farvi condizionare da chi strilla più forte, da chi è in classifica, da chi in America ha già venduto più di un milione di copie, da chi gode dell’attenzione dei giornalisti e dei media e da quel genere di specchietti per le allodole che servono, appunto, per attirare la massa lungo i sentieri appositamente predisposti dai consulenti di marketing, dai direttori commerciali e dagli strateghi della comunicazione.

Siate persone, non massa. Fatevi un’opinione con la vostra testa, non con i giornali e la televisione.

Dimostrate a tutta questa gente che vendere un dentifricio e vendere un libro non sono mai state e mai saranno la stessa cosa.

E chissà che poco alla volta la qualità e l'impegno torneranno a farsi vedere non solo nell'editoria, ma anche nella scuola, nella politica e in altri sofferenti comparti della nostra vita sociale…

 

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